Ottimismo…anzi no!

Ed e così che mi sono accorto che l’unico modo per essere ottimisti è non esserlo. Perché essere ottimisti ad oltranza (di quelli alla Pollyanna, per intenderci) è come essere sovranisti, come essere integralisti, come fare la Dieta del Minestrone e pensare di non scoreggiarsi addosso o indossare indumenti Zara e sentirsi esclusivi: vedere sempre il buono a prescindere è sospendere il contatto con il negativo con cui veniamo in contatto.

Quest’ultimo, il negativo, è di fatto l’unica cosa che ci tiene in esercizio, ci aumenta il senso critico, ci forgia come esseri umani. Come farei a vedere nelle negatività della vita, nelle difficoltà di ogni giorno, una preziosa occasione di miglioramento se vedessi solo il meglio? Sarebbe come se decidessi di mangiare solo dolci e patatine fritte tralasciando le verdure, come se prendessi solo i giorni sorridenti dalla vita di coppia senza “abbracciare” anche i momenti di litigio o pianto, come se non lavassi mai il mio cane o il mio gatto, non raccogliessi le sue feci o non pulissi la sua lettiera, per fargli solo coccole e vezzeggiarlo. Una forma imbarazzante di ipocrisia (reticenza nel migliore dei casi), una sorta di presbiopia premeditata.

Matteo Tuveri (portrait 2017)L’ottimismo ad oltranza è pericoloso (così come il suo doppelgänger, si badi bene). Ed è così che ho deciso di evitare una categoria di persone: le persone pericolosamente ottimiste. Quegli individui che hanno sempre il post social ottimista a tutti i costi, che hanno sempre la vignetta dolce e ottimista per tirarti su la giornata, che vedono sempre un grande barattolo di Nutella pronto per te dietro l’angolo (mentre un merdone non solo è statisticamente più probabile, ma ti rende più pronto agli scatti, ti fa rendere di più sotto pressione, ti allena narici, talloni e mente).

Queste persone le dribblo come un Maradona qualsiasi, le ammanto di educato mutismo, le coloro di un grigio tenue e le uso come un monito: non si sa mai che in futuro possa anche io assumere quella caratteristica faccia ipotrofica fra la paresi e il Mosè-Charlton Heston che scende dal Monte Sinai. Apro il parapioggia della mia sana concretezza, mi metto in contatto con il fallimento che incombe, consapevole come esso sia utile per eliminare tutto ciò che è superfluo (per questo leggete J. K. Rowling, Very good lives. The fringe benefits of failure and the importance of imagination), e mi lascio scivolare addosso il loro miele sapendo che “la fortuna viene dalla bocca e ci rovina” e che “la fortuna viene dal cuore e ci fa onore” (la frase è di Nichiren).

Tutto questo mi rende ottimista perché mi fa capire che la vita in fondo è bella, “basta avere l’ombrela”, no?


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