Nella terra del no che ha già perso

Ho sempre sostenuto il primato della razionalità – e dell’organizzazione – sull’impeto del cuore, specialmente per quanto riguarda l’accoglienza ai migranti. Meno slanci (demagogici), che porgono il fianco ai populisti, e più visione economica secondo me aiuterebbero a capire come l’accoglienza potrebbe diventare un business per tutti (dalla scuola all’assistenza medica, passando per le altre infinite pieghe del commercio).

Ma con i fatti di Gorino, paesino in provincia di Ferrara che ha alzato barricate per non ricevere circa venti persone (donne e bambini), la mia riflessione si è spostata in campo morale: un paese il cui sindaco afferma che “lo stato ha perso” perché le barricate hanno respinto persone sofferenti, un paese che sente come pericolo una decina di bambini e donne, non sappiamo quanto resisterà in un futuro (peraltro già qui) in cui “isolamento” non è di certo la parola chiave.

"Piccoli" rientri, editoriale di Matteo TuveriViviamo in un periodo in cui le scelte più violente, quelle più immediate, o che comunque propongono soluzioni take away, sono presentate come ideali. Sollevano le persone dal pensare, le tolgono dalla pesante responsabilità della decisione.

Il No vince su tutto: no ai migranti, no alle olimpiadi, no al referendum, no all’olio di palma, no alla fecondazione eterologa, no questo, no a quello (a prescindere, senza averci pensato. Sarebbe del tutto rispettabile, infatti, un giudizio negativo frutto di studio). Certamente il No è in grado di fornire l’immediata, impagabile sensazione di aver fatto qualcosa (senza aver fatto nulla), di essersi opposti, di barricarsi, di respingere il “nemico”. È una parola affascinante, che ci fa sentire importanti, come aborigeni contro gli invasori, tutti madri e padri di una patria che è sempre più simile a un gruppo di scimmie. Non a caso è lo slogan più usato dai personaggi inquietanti della politica sia negli U.S.A. e in Francia.

Il No è un imbuto in cui scivoliamo, convinti che respingere qualsiasi cosa sia meglio di aprirsi a soluzioni possibili. Il No è un aggregatore di menti indecise, una casa del sospetto in cui è facile trovare momentaneo riparo: “contro il complotto, contro i frigoriferi, contro i poteri forti, contro tutto e tutti: il No è di certo la soluzione a tutti i mali”. Poco importa se con lui si costruisce ben poco.

Spesso un Si aiuterebbe a edificare qualcosa, a partecipare alla storia, a scommettere su un’idea, o più idee, che di certo non sono pronte con quattro salti in padella come un bel No.

Certamente rappresenta un rischio (bisogna provare, modificare, fare passi indietro, se occorre), ma ci può far vincere a lungo termine. Ed ecco perché abbiamo già perso.