Coronavirus. Il momento e la narrazione

Per un difetto professionale tendo sempre a cercare di rintracciare anche nella narrazione della realtà gli elementi propri del racconto: un punto di vista (o più punti di vista), degli attori (nella realtà sono tanti), il contesto e i destinatari (per non parlare della differenza fra Fabula e Intreccio che spesso, fra media di vari tipi, è difficile porre in relazione fra loro).

Dopo breve osservazione, mi è sembrato di capire che la narrazione del momento di crisi abbia bisogno di una rilettura degli eventi che ci troviamo a vivere (o almeno di una nuova critica visione di essi). E non mi riferisco a pipistrelli, virus in laboratorio e altre fandonie (chiamiamole fake news), ma ai fatti accaduti e alla loro lettura da parte dei grandi narratori che li porgono al pubblico.

Per esempio, mi è sembrato di capire (sempre stando alla narrazione che ci viene fornita) che la Chiesa, a parte fornire belle e toccanti immagini da San Pietro, abbia fornito “ingente stanziamento” di aiuti all’Italia. Esattamente 13,5 milioni, di cui 10,5 alla Caritas e 3 a varie case di cura cattoliche (quindi la Chiesa Cattolica dona a se stessa).
Altre religioni, come afferma Massimo Maiurana, hanno fatto ben di più (pur avendo molto meno): “I buddisti della Soka Gakkai, tanto per fare un paragone, hanno deciso di stanziare il 100% del loro Otto per mille per l’emergenza pur non avendo idea di quanto varrà, dal momento che loro sono ammessi dal 2017 e la ripartizione di quell’Irpef avverrà solo quest’anno (dovrebbero essere almeno 3,5 milioni)“.
Per carità, ognuno stanzia ciò che può (o vuole), ma ciò che è chiamato ingente, lo è poi davvero?
Per una narrazione equilibrata, leggete qui

Parliamo degli aiuti provenienti in Italia dagli altri paesi: bene l’Albania, bene Cuba (secondo la narrazione diffusa), meno bene la Russia (che avrebbe addirittura, secondo alcuni giornalisti, intenzione di invadere il patrio suolo) e la Germania (egoista, dio mio!).
Rileggiamo i fatti: la Russia ha inviato, specialmente a Bergamo, specialisti, mezzi e attrezzature in modo tempestivo e assolutamente gratuito. L’ambasciatore russo Razov, sempre per contrastare certa narrazione, ha tenuto a precisare che: “i rappresentanti delle truppe russe di difesa nucleare, chimica e biologica, sono gli specialisti più mobili e più preparati con esperienze in diverse regioni del mondo, in grado di prestare assistenza efficace nella diagnosi e nel trattamento dei pazienti, così come nell’esecuzione delle necessarie misure di disinfezione”. Nessuno invade alcun paese, caso mai qualcuno aiuta.
Certo è che la visione di un’Europa destabilizzata economicamente dal virus, e dunque facile preda di nuove e vecchie alleanze e partnership commerciali, dovrebbe essere tenuta d’occhio. Come sostiene Vittorio Emanuele Parsi: “Al di là del fatto che chiunque mandi aiuti in questo momento sa di fare cosa gradita, contemporaneamente sa di farlo in un momento in cui i recettori dell’opinione pubblica sono particolarmente attivi. Sa che il gesto di generosità, rispetto ad altri contesti, avrà un impatto maggiore“.  Per una narrazione equilibrata, leggete qui e leggete qui

Veniamo a quella “cattivona” della Germania. La verità è ben altra (mi è sembrato molto utile un post de I Sentinelli di Roma):

La Germania è il primo paese al mondo ad ospitare nei propri ospedali i malati di Coronavirus di nazionalità italiana (e francese). Sono la Baviera, Lipsia e Colonia a ospitare e curare. Nel frattempo arrivano aerei con venti tonnellate di aiuti medicali tra cui un centinaio di ventilatori polmonari (e ne sono arrivati altri). Una nota azienda farmaceutica tedesca ha donato un milione di euro al fondo speciale creato dalla Regione Lombardia per l’acquisto di macchinari di terapia intensiva.
Il deputato Marian Wendt, della CDU, che ha organizzato i soccorsi all’Italia, ha dichiarato: “Si tratta di aiutarsi tra esseri umani. Sicuramente dobbiamo aiutarci nei momenti di difficoltà. I pazienti verranno trattati negli ospedali di Lipsia, Dresda e Coswig. Conosco molti parlamentari italiani, siamo molto uniti e connessi anche come gruppo parlamentare“. Robert Habeck, dei Verdi tedeschi (vincitori delle ultime elezioni) ha dichiarato: “Stati economicamente forti come la Germania devono aiutare quelli che non stanno andando bene in questo momento. Come altri leader europei sostengo l’idea e la necessità dei Coronabond”.
L’europarlamentare dei Verdi Sven Giegold ha detto: “È proprio nei Paesi più colpiti che ora si deve percepire maggiormente l’Unione europea”.
Lo stesso Ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz (Partito Socialdemocratico) ha dichiarato: “Credo che dopo la crisi ci sarà bisogno di più Europa. La solidarietà è ora necessaria nel nostro Paese, in Europa e anche nel mondo“.
Per una narrazione equilibrata, leggete:
1. www.tgcom24.mediaset.it
2. www.fanpage.it
3. www.ilfoglio.it
4. startupitalia.eu
5. www.salzburg24.at

Mi è sembrato di capire che anche la narrazione del dopo-emergenza subisca i contraccolpi di un diffuso immaginario, intriso di fantastiche visioni, in cui, a seconda del narratore, lo Stato non sta facendo proprio nulla per i cittadini (cosa non vera) o starebbe facendo così tanto per cui non solo #andràtuttobene ma sarà tutto così diverso da essere migliore (visione a dir poco disneiana).
Inutile dire che nessuna delle due visioni corrisponde alla realtà: le azioni del governo, nei confronti del territorio, delle categorie di lavoratori e dei più deboli, sono tempestive e ben focalizzate (altra cosa è chiedersi se occorrerà rivedere, riformulare e intervenire più volte in corso d’opera).
Tutto sarà completamente diverso? L’assunto è che, complici alcuni post ricchi di pathos e alcuni discorsi a sfondo religioso, o politico (sulla cui bontà nessuno pone dubbi), il mondo sarà costretto a riparametrizzare il concetto di solidarietà, risorsa e comunità. Una sorta di palingenesi spontanea (e si badi bene, priva di sacrifici reali per alcuno). Cambierà tutto? Rinunceranno i privilegiati ai loro standard? Chi ha uno stipendio da 1500 euro rinuncerà a metà del suo per lavorare lo stesso numero di ore e lasciare che si assumano altre persone? Si rinuncerà all’automobile per andare a fare la spesa in autobus o a piedi? Saranno pronti, tutti quanti, a una legge patrimoniale, a un aumento delle tasse e a una nuova ridistribuzione delle risorse (piccole e grandi)? Si ripenserà, con enormi sacrifici della collettività, ad assistenza sanitaria, trasporti, valorizzazione delle competenze, ad intere generazioni di persone saltate e trascurate a piè pari dal mondo del lavoro?

La risposta non la conosce nessuno, ma l’osservazione della realtà, al di là delle narrazioni, degli emittenti che le formulano e dei destinatari che le assorbono, appare doverosa per non abbandonare il campo dei fatti per spingersi in quello dei sogni (o delle visioni).